Sono italiana, nera (afrodiscendente), bisessuale e sento di dover sempre celare una parte di me stessa perché la società non mi accetterà mai totalmente per quella che sono.

Inizio questo articolo con una delle mie citazioni preferite di Pat Parker, una poetessa nera lesbica.

“If I could take all my parts with me when I go somewhere, and not have to say to one of them, <<No, you stay home tonight, you won’t be welcome>> because I’m going to an all-white party where I can be gay, but not Black. Or I’m going to a Black poetry reading, and half the poets are anti-homosexual or thousands of situations where something of what I am cannot come with me. The day all the different parts of me can come along, we would have what I would call a revolution.” 

(Se solo potessi portare appresso tutte le parti di me stessa quando vado in un posto, e non dover dire a una di esse <<No, tu oggi stai a casa, non saresti la benvenuta>> perché vado ad una festa di sole persone bianche dove posso essere lesbica, ma non nera. O quando vado ad un club di lettura di poesia nera, dove metà dei poeti sono omofobi, o altre migliaia di situazioni in cui non posso esprimere una determinata parte di me stessa. Il giorno in cui riuscirò a portarmi appresso tutte le diverse parti della mia persona, ci sarà una rivoluzione.”)

Ho passato un paio di anni della mia adolescenza a credere di essere l’unica a provare queste cose. La mia vita viene essenzialmente descritta nelle parole di Pat: devo sempre celare una parte di me stessa perché la società non mi accetterà mai totalmente per quella che sono. Vi siete mai sentiti così?

Sono cresciuta sviluppando un conflitto aspro con molte parti della mia identità a causa delle mie insicurezze e del mio perenne bisogno di affidarmi al parere altrui. La prima volta che sentii parlare della comunità LGBT è stata nel secondo anno di scuola media e, in quel stesso arco di tempo, subii atti di bullismo perché girava voce che io fossi lesbica. Rifiutai all’istante quell’etichetta (non perché mi desse particolarmente fastidio, anche perché sapevo che non era vero) semplicemente perché non volevo che ci fossero altri pretesti per prendermi in giro ed insultarmi. Ovviamente i miei sforzi non hanno fermato la raffica di insulti giornalieri che subivo. L’astio della mia famiglia e dei miei compagni di scuola verso la comunità LGBT sviluppò in me una forte omofobia interiorizzata che mi ha portata a rifiutare categoricamente il mio essere bisessuale. La mia mente era intrisa di parole e frasi piene di odio e non riuscivo a trovare un equilibrio tra la mia persona, la mia fede e la realtà che mi circondava. Quando iniziai ad accettare pienamente la mia sessualità, incominciai gradualmente ad allontanarmi da molte persone e a provare ansia per paura dell’opinione altrui. Nella mia consapevolezza di essere una donna nera, sapevo già che in società venivo percepita come un oggetto sessuale e una persona che non meritava di vivere a causa del mio colore della pelle, ed effettivamente alcune persone hanno fatto commenti espliciti e denigratori dopo essere venute a conoscenza della mia sessualità. Bastavano tre parole per farmi sentire privata della mia dignità.

 Black Lesbian Caucus, Christopher Street Liberation Day, New York City, June 24, 1973. Foto di Bettye Lane

E, nonostante io non abbia avuto tante esperienze legate ad atti discriminatori contro la mia persona in quanto nera e bisessuale, ho sempre percepito un forte astio nei confronti di persone come me. Spesso mi è capitato di leggere commenti sui social da parte di persone bianche del tipo “in quanto appartenente alla comunità LGBT, io sono esente dal concetto di ‘privilegio’ perché subisco anch’io delle discriminazioni”, oppure mi è capitato di notare una tendenza a giustificare atti razzisti con “ma io faccio parte della comunità LGBT, quindi quello che faccio non è offensivo”. 

Ho avuto l’occasione di parlare di questa tematica con altre persone nere Queer italiane e, nonostante abbiano evidenziato come la comunità LGBT costituisca un luogo dove potersi esprimere liberamente e sentirsi a proprio agio; un gruppo composto da persone pronte a dare ogni tipo supporto necessario, sono anche affiorati dei pensieri e delle emozioni che spesso non vengono presi in considerazione.

Quotidianamente dobbiamo convivere con i costrutti sociali, basati essenzialmente su stereotipi e pregiudizi che la società italiana ci impone dal momento che, a causa del colore della nostra pelle, siamo considerati come “stranieri”. La convinzione che noi siamo originari da comunità africane “chiuse” e, di conseguenza, “arretrate e non civili”, non fa altro che alimentare la percezione che noi, in quanto persone nere, non possiamo essere altro che eterosessuali. È così che viene applicata l’eteronormatività nei nostri confronti (ossia la convinzione che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale valido che rientra nella norma): in quanto persone nere, ci ritroviamo a combattere non solo contro il razzismo sistemico, ma anche contro l’omofobia e tutte le altre discriminazioni legate alla comunità LGBT.

Io non nego che effettivamente nella mia famiglia questo argomento sia un tabù, ma questa percezione sociale mi dipinge spesso come una persona omofoba e chiusa di mente, cosa che non è assolutamente vera. E a causa di ciò si ha l’impressione che una parte della nostra identità (quella che dimostra la nostra appartenenza alla comunità LGBT) tenda ad essere vissuta come se fosse  qualcosa di assimilato, qualcosa appartenente esclusivamente alla società occidentale, qualcosa che non è veramente parte di noi. Ne consegue che molte persone nere si ritrovano a non sentirsi parte integrante della comunità e a limitare alcune parti della loro identità perché è come se avessero l’esigenza di conformarsi e di dover fornire sempre delle spiegazioni, e non dovrebbe essere così.

Quando iniziai a seguire artisti musicali come Tanerelle, Frank Ocean e Syd, o a leggere gli scritti di Charlene Carruthers e Patrisse Cullors, mi resi conto di quanto fosse necessario avere dei punti di riferimento attuali che, attraverso le loro parole e le loro azioni, potessero spingere le persone come me ad aprirsi e a non avere paura della realtà che ci circonda. Le attiviste che ho nominato offrono uno sguardo odierno e critico sulla comunità LGBT e ritengo sia importante ascoltare le loro esperienze e riflettere.

Rainbow Democratic Club, Martin Luther King Day Parade, Orlando, Florida, January 15, 1996

Accanto alla lotta contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia e l’eteronormatività di questa società, ci dev’essere una lotta contro il razzismo e tutte le altre discriminazioni, essendo strettamente legate tra di loro. Ma il fatto di non essere integrati nella completezza della nostra identità ci spinge a distaccarci e a creare piccole comunità, perché anche noi abbiamo l’esigenza di avere un safe place. Stormé DeLarverie, Marsha Johnson, Bayard Rustin, Mabel Hampton (e tantissimi altri) non hanno combattuto per una comunità che discrimina i propri membri per la loro appartenenza etnica. Non hanno combattuto per una comunità che si appropria della cultura Queer e la utilizza come ornamento. Non hanno combattuto per una comunità che rende i propri membri estranei.

Hanno combattuto per far sì che la società accettasse tutte le persone nell’incertezza della nostra identità, per non dover più sentire frasi come “Avete una doppia sfortuna: essere neri e appartenere alla comunità LGBT“. Hanno combattuto affinché fossimo fieri di noi stessi e venissimo rispettati. Abbiamo bisogno di più spazio per esprimerci, abbiamo bisogno di più rappresentazione nei media, senza assecondare i soliti stereotipi, abbiamo bisogno di cambiare questa mentalità che limita la nostra persona e la nostra libertà. Il tema principale della comunità è il concetto di pride, ossia l’essere orgogliosi di ciò che siamo: è giunta l’ora (adesso più che mai) di mostrare che siamo realmente fieri di noi stessi.

Credit foto copertina: Tanerélle, asrtista musicale.

AUTRICE

Mi chiamo Addy, ho 18 anni, sono nata e cresciuta a Brescia, ora vivo in Gran Bretagna. La mia particolare sensibilità, specialmente verso tematiche legate a problemi sociali, mi spinge a dedicare la mia vita a contribuire per cambiamenti radicali che possano rendere questa società un posto migliore per le future generazioni.

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