La verità è che fanno finta di non vederci.

 

Da quando è nato il nuovo governo, si parla soltanto di immigrazione. Di quel fenomeno brutto e cattivo che porta criminali e clandestini sulle coste italiane.

Tutti parlano e tutti ne parlano. Sindaci che “non sanno più dove metterli”. Populisti che speculano su immigrati protagonisti di fatti di cronaca per fare campagna elettorale. Perfino dall’estero arrivano sentenze: l’UE ci rimprovera, Trump si congratula.

Non dimentichiamo la vox populi. I giornalisti vanno di città in città per raccogliere le stesse opinioni: gli italiani sono indignati. Gli italiani ne hanno abbastanza. Gli italiani sono comprensivi, accoglienti, ma quando è troppo, è troppo. Al punto di giustificare atti di violento e palese razzismo.

Gli italiani sono stanchi.

Gli altri italiani, invece? Noi, i figli di questa immigrazione di cui si ha tanta paura? A nessuno sta a cuore la nostra opinione. Eppure siamo noi, quando al TG commentano un reato, a pregare che non si tratti di un altro nero.

Durante la Leopolda 9, Abril K. Muvumbi ci ha definiti gli invisibili. Siamo quelli che si finge di non vedere. Quell’Italia messa da parte, in stand-by, come la legge sullo Ius Soli. 

L’Italia ha un problema e non è l’immigrazione. Il problema sono i ragazzi di seconda generazione che non vengono presi in considerazione, né rappresentati. Se solo ci venisse data la parola, si conoscerebbe il lato positivo dei flussi migratori. Se solo ci dessero spazio, saprebbero che anche noi ci lamentiamo dei falsi profughi, degli spacciatori stranieri, dei clandestini. Capirebbero che non tutti i neri sono uguali. Che alcuni neri sono italiani.

Sembra un discorso banale e forse ridondante, ma se ne stiamo ancora discutendo, vuol dire che nel nostro paese poco è cambiato. Ancora ci si sorprende nel vedere medici neri, avvocati, cassieri. Ancora si scrive “nigeriano” nei titoli di giornali, e “trentaduenne” se il criminale è bianco.

Siamo invisibili perfino quando siamo in prima linea: nonostante il talento e le qualità sorprendenti, un nero non è comunque alla pari degli altri italiani. La pubblicità dell’Uliveto lo ha dimostrato.

In breve, veniamo piazzati in prima pagina solo se protagonisti di un fatto negativo. Sfido chiunque a dire il contrario.

Come si può abbattere, quindi, questo muro di indifferenza?

Parlandone. È nostro compito rendere presente il problema con ogni mezzo possibile. Siamo una generazione giovane, perciò usiamo i social networks, la manifestazione all’aperto, per influenzare i piccoli afroitaliani, e per istruire i nostri coetanei.

Entriamo nella quotidianità, nella normalità. Noi siamo italiani, non africani. Per molti è una follia, ma chi è nato e cresciuto qui, appartiene a questo paese e alla sua cultura. Perciò continuiamo a dirlo finché non entrerà nelle orecchie del più testardo dei razzisti.

Abril Muvumbi ha concluso il suo discorso dicendo:

“Mio nonno non ha versato sangue per la Costituzione italiana, ma io sono qui e resto qui. Anch’io sarò la nonna di giovani italiani neri a cui voglio garantire pieni diritti e la libertà di sentirsi italiani.”

Noi siamo qui e restiamo qui. E anche se dovessimo emigrare all’estero, rimaniamo italiani. Per quanto cerchino di nasconderci, nella vita e sui giornali dietro a bottiglie verdi, presto saranno costretti a darci lo spazio che ci spetta. Solo allora non saremo più invisibili.

 

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