Un paio di settimane fa abbiamo chiacchierato con Ndeye, ventiduenne vicentina senegalese, autrice del libro “Allergica al pesce – Hakuna Matata”, in cui parla della sua crescita personale trattando temi come il viaggio, l’integrazione, la famiglia, il razzismo e la percezione della donna all’interno della società.

Cresciuta a Schio, in provincia di Vicenza, barcamenandosi fra due mondi opposti, ovvero la sua famiglia biologica senegalese e quella italiana, Ndeye comprende già dalla tenera età che cosa significa interculturalità. Ripensando alla sua infanzia che la giovane autrice ricorda come <<uno dei periodi più belli della mia vita>>, confessa che sono le due nonne Graziella e Ndeye ad avere indubbiamente un posto speciale nel suo cuore.

Com’è stato per te vivere fra due famiglie così diverse culturalmente?

<<Da piccola volevo avere gli occhi azzurri e i capelli biondi. Molte volte mi sono sentita più vicina a mia nonna, rispetto a mia madre che tentava spesso di impormi la cultura senegalese e per questa ragione non volevo mai tornare a casa, dai miei genitori biologici>>.

Aver passato molto più tempo con la famiglia italiana – per questioni di praticità come la scuola, il lavoro dei genitori e lo sport – la fa avvicinare molto di più alla cultura del Bel Paese. Durante l’adolescenza affronta la tipica fase in cui tutte le persone, soprattutto quelle italiane afrodiscendenti, iniziano a porsi delle domande sulla propria identità ed è in quel periodo che Ndeye realizza che le manca qualche tassello. Così, a 16 anni, decide di fare i bagagli e di partire alla scoperta del Senegal, nonostante la severa disapprovazione della maggior parte dei suoi famigliari. Soltanto i due papà infatti reagiscono positivamente all’idea del viaggio, ma la determinazione di Ndeye è inarrestabile.

Il 15 giugno 2014 saluta l’Italia diretta verso la terra natia dei genitori. Mentre è in volo si rende conto che sta facendo una pazzia, d’altronde non sa nemmeno il wolof , la lingua più parlata in Senegal, però la voglia di conoscere la sua terra di origine è più forte di qualsiasi preoccupazione.

Le abbiamo chiesto com’è stata la transizione da Schio a Dakar.

Ci ha raccontato che all’inizio l’immensa capitale senegalese le incuteva un po’ di timore ma nel corso del tempo è diventato divertente perdersi tra le vie della città, in cui ogni vicolo raccontava una storia diversa. Trascorreva le giornate assistendo gli zii nel grande mercato in cui lavoravano, aggirandosi nelle strade periferiche lontano dal caos del centro. 

<< Per la mia famiglia senegalese io ero come un film da guardare. Si divertivano e anche io mi dilettavo a vivere quella nuova realtà. Vedere come mio zio viveva insieme alle sue quattro mogli in un palazzo dove ogni consorte aveva il proprio piano, era tutto un altro mondo per me>>.

Ha proseguito aggiungendo che il suo essere italiana era spesso oggetto di prese in giro proprio da parte dei parenti senegalesi che non la ritenevano africana abbastanza. Questo l’ha portata a una riflessione più profonda sulla sua identità: << Io voglio prediligere il fatto di essere umana, anziché italiana piuttosto che senegalese. Ho sperimentato la discriminazione da entrambe le parti e ho compreso quanto fosse inutile e senza senso>>. 

Qual è stato il momento che più ti ha colpito del tuo viaggio?

<<Uno dei ricordi più belli risale ad un tardo pomeriggio. Mentre mi stavo allontanando dai campi da gioco incontrai un mio zio che stava cavalcando. In Senegal le donne che vanno a cavallo non sono viste di buon occhio, tuttavia riuscii a convincerlo a fare uno strappo alla regola e fu un’esperienza incredibile. Ho ancora davanti agli occhi l’immagine di quel momento: cavalcavo senza nemmeno la sella, il vento che soffiava, di fronte a me solo il tramonto, era come vivere in un sogno! La magia si spezzò quando, arrivata a casa, fui accolta dalla faccia arrabbiata di mia nonna>>.

Dal viaggio all’opportunità di scrivere un libro.

Poco dopo il rientro dal Senegal, Ndeye scrive un articolo per un giornale locale che solleva numerosi dissensi dalla comunità senegalese in Italia, inclusi alcuni amici della stessa scrittrice. Il pezzo viene considerato troppo critico e accusato di danneggiare l’immagine del Senegal; Ndeye invece sostiene di aver raccontato sia la bellezza che le difficoltà del suo viaggio, in modo obiettivo e senza cattive intenzioni. 

Finalmente nel 2019 si arriva alla pubblicazione del libro “Allergica al pesce – Hakuna Matata”, un diario di bordo della sua esperienza di giovane donna italo-senegalese in un paese che, prima di quel momento, non avrebbe mai chiamato casa ma che lo è diventato così tanto da permetterle di conoscere se stessa.

Cosa vorresti che i lettori traessero dal tuo libro?

<<Ho cercato di rendere questa storia viva, affinché il lettore possa sentirsi come se la stesse vivendo insieme a me. “Allergica al pesce – Hakuna Matata” non è solo la mia storia, dedico questo libro a tutti i ragazzi italiani come me di seconda generazione , che da sempre hanno a che fare con più culture, soprattutto in un periodo dove l’immigrazione è vista come un problema. Ho provato a dimostrare cos’è l’integrazione, cosa si prova a vivere in mezzo a due culture, cosa vuol dire crescere col dubbio di non sapere a quale società si appartiene>>.

Ndeye è la prova che non si deve separare o scegliere tra la propria parte africana e quella italiana perché entrambe possono coesistere nella determinazione dell’identità di una persona. Il suo libro insegna ad esaltare le proprie origini e ad essere fieri della propria afro-italianità. 

Le abbiamo chiesto se i suoi amici senegalesi, dopo aver letto il libro, si sono ricreduti rispetto alle critiche iniziali: la risposta è stata <<Sì, mi hanno ringraziato e hanno apprezzato ciò che ho scritto; mentre molti miei amici italiani hanno scoperto nuove cose che non immaginavano minimamente. Questo mi ha fatto capire che non tutta l’ignoranza è razzista. A volte si tratta solo di permettere agli altri di esplorare nuove realtà, senza dare per scontato che sappiano quali siano le discriminazioni razziali, altrimenti rischiamo che il timore di fare domande inopportune, impedisca loro di potersi educare su un tema così importante. Anche per questo ho scritto Allergica al Pesce>>.

E quest’ultima citazione di Ndeye ci porta a riflettere sui mezzi con cui cerchiamo di contrastare il razzismo, su come informiamo la società in cui viviamo. Siamo sicuri che i modi in cui noi ci esponiamo siano efficaci per far comprendere gli errori commessi? O è forse il caso di rivedere la nostra strategia?

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