RomAfrica Film Festival.

Dall’11 al 14 luglio, presso la Casa del Cinema di Roma, si è tenuta la quinta edizione del RomAfrica Film Festival, una kermesse che ha l’obiettivo esplicito di promuovere la cinematografia pan-africana e afroitaliana.  Durante le quattro giornate sono stati proiettati 10 lungometraggi e 22 cortometraggi provenienti da dodici paesi differenti e ben oltre 5000 persone hanno preso parte all’evento.  

L’apertura del festival è stata affidata ad un emozionante concerto proposto dalla Cairo Opera House e dal Teatro San Carlo di Napoli, tenutosi all’Accademia d’Egitto, a cui è poi seguita la proiezione del film Hepta – Sette stadi d’amore (2016) del regista egiziano Hadi El Bagoury. 

Un successo di pubblico, ma anche una dimostrazione di come la qualità del cinema africano possa fare da apripista perché questi film non restino al ‘chiuso’ di festival e rassegne ma raggiungano il grande pubblico consentendo in questo modo di raccontare un continente dinamico e in grande trasformazione

Se lo scorso anno il tema del RAFF era stato quello dell’ “energia”, quest’anno gli organizzatori hanno scelto di utilizzare come filo conduttore del programma la donna africana intesa nella sua globalità, una sorta di feticcio utile a raccontare un intero continente e non solo. Le pellicole più interessanti proiettate durante il festival sono state: Sofia (2018) – vincitore nella categoria miglior sceneggiatura al Festival di Cannes 2018 nella sezione Un certain regard – di Meryem Benm’Barek, che racconta la storia di un matrimonio riparatore fatto per interesse; Farewell Ella Bella (2018), della regista Lwazi Mvusi, un road movie dove il viaggio di una ragazza verso Johannesburg diventa un viaggio di riscoperta del proprio sé; Wulu (2016), opera del maliano Daouda Coulibaly, in cui il protagonista entra nel mondo dello spaccio per riscattare la sorella dalla prostituzione ed infine Rafiki (2018), di Wanuri Kahiu che ha affrontato brillantemente il delicatissimo tema dell’amore omosessuale tra due ragazze in Kenya. 

È bene sottolineare lo sforzo che è stato fatto in sede di selezione delle opere cinematografiche affinché il numero di registe fosse consistente, anche per onorare al meglio il tema dell’evento. Tale scelta non era ahimè scontata e anzi va sostenuta, soprattutto se si considerano tutte le polemiche che hanno accompagnato l’ultima edizione del Festival di Cannes. In questo senso si dovrebbe necessariamente riflettere sull’opportunità che queste piccole kermesse danno soprattutto ad artisti, artiste e operatori del settore provenienti da paesi non occidentali. Non è un caso, dunque, che spesso proprio i micro festival riescano ad avere un’offerta più diversificata e stimolante rispetto ad alcune rassegne di più alto profilo.

Durante il pomeriggio di sabato 13 luglio è stato lasciato grande spazio al Collettivo N – una realtà artistica, impegnata a promuovere un cambiamento dell’immaginario collettivo connesso alla rappresentazione degli afrodiscententi e migranti presenti sul territorio italiano – con proiezioni ed una tavola rotonda. Durante il dibattito, coordinato da Tezeta Abraham e Liliana Mele, si è parlato sia del bisogno per il cinema e la televisione di allargare gli orizzonti andando oltre gli stereotipi e sia della necessità di investire nei numerosi talenti afroitaliani.

L’Italia non si è ancora aperta al mondo ma il mondo si è aperto all’Italia

Ira Fronten

Nel corso della serata di sabato si è, infine, tenuta la prima edizione dei Black Italian Awards – ideati da Ira Fronten in collaborazione con lo stesso RAFF, la Roma Lazio Film Commission, il gruppo Bianco, Nero e a Colori, Asdli e Acmid Donna Onlus – che hanno visto come protagonisti numerosi talenti di origine africana e Sud Americana che lavorano attivamente nell’industria audiovisiva italiana. Il premio per la migliore regia è andato al regista marocchino Hamid Basket (Le silence des papillons) e Redemption Song di Cristina Mantis è risultato il miglior documentario in concorso. Aminata Ndiaye (Tre Puent) e Kallil Kone (Fiore Gemello) hanno vinto il premio come miglior attori protagonisti. Juliet Esey Joseph, invece, è risultata la vincitrice nella categoria “miglior attrice non protagonista” per la pellicola Ammore e Malavita. Il cortometraggio La goccia e il mare di Daniele Falleri ha trionfato nella sezione: “miglior cast multietnico”.  

Video by afroitaliansouls

Miguel Gobbo Diaz (Nero a metà) e Lorena Cesarini (Suburra) sono stati premiati per i loro rispettivi impegni televisivi, a Federico Lima Roque è invece stato assegnato un premio per il suo lavoro a teatro con l’opera Lampedusa Snow. Infine, ad Iris Peynado (Non ci resta che piangere) è stato conferito un premio alla carriera. Tutti i presenti si sono mostrati entusiasti di poter partecipare ad una serata-evento che per la prima volta li hai visti realmente al centro del discorso. La nostra speranza è che tutta questa nuova classe emergente di attori, registi e sceneggiatori possa trovare gli spazi adeguati e che i riflettori non siano puntati su di loro solo per una sera all’anno. Ad maiora!

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