Si chiedeva Malcom X in un suo famoso discorso agli inizi degli anni Cinquanta. Nel 2019 faccio ancora fatica a trovare una risposta univoca a questa domanda. I capelli, per noi donne nere, sono croce e delizia. Simbolo di una storia, di una cultura ma soprattutto un’identità, troppo spesso negletta, repressa, frenata, tenuta a bada

Ognuna di noi ha intrapreso un percorso individuale, ma crescere e doversi confrontare con una società che fornisce quasi esclusivamente modelli di bellezza caucasica o donne dal fascino esotico con capelli liscissimi (Naomi, ti adoro, tranquilla) non è stato d’aiuto al nostro sviluppo. Sempre costrette a confrontare il nostro essere con esempi irraggiungibili, spinte a costruire – a suon di piastre, capelli sintetici e prodotti chimici – un simulacro di quell’avvenenza tanto agognata. Come diceva Tony Morrison ne L’occhio più azzurro:

La bellezza non è semplicemente qualcosa da guardare; è qualcosa che si può fare.

Nel mio caso però posso dire che dopo dieci lunghi anni di “allisciamento” forzato dei miei ricci, mi sono resa conto che quei capelli non mi avevano reso né più bella né più sicura. Non avevano fatto nulla per me e anzi mi avevano resa loro schiava. Oggi mi sento più libera, e questa libertà si esprime nell’apprezzare i boccoli irregolari che talvolta contornano il mio viso, nel nervosismo che provo quando la mia chiome è crespa e senza vita, nel divertirmi quando le mie amiche, scioccate, mi vedono improvvisamente con una lunga coda di capelli neri e liscissimi o, infine, nel sentirmi fiera di portare le treccine. Ma per arrivare a questa consapevolezza ci sono voluti dei passaggi intermedi e probabilmente tra questi passaggi è bene annoverare anche lo stesso tiraggio.

Chi ti ha insegnato ad amare la consistenza dei tuoi capelli?

Il punto è che se da un lato i media giocano un ruolo centrale nella definizione del sé e del mondo che ci circonda, dall’altro ci stanno fornendo anche gli strumenti per accedere a realtà alternative. Non è un caso, infatti, che negli ultimi anni si sia sviluppata una vera e propria sottocultura, ormai divenuta mainstream, atta a sostenere le donne nere che vogliono tornare alla loro originaria bellezza naturale. Internet ha reso possibile una più vasta circolazione del sapere anche nel campo dei capelli e più in generale della cosmesi. Non è un caso, dunque che in concomitanza con questo trend si sia registrato, a partire dal 2006, un calo verticale nelle vendite di prodotti liscianti per capelli.

Nel mio personale cammino a giocare un ruolo di primissimo piano sono stati i social network. Tramite questi, infatti, ho conosciuto alcune donne chiave che mi hanno aiutato e soprattutto mi hanno istruito, consigliandomi e facendomi scoprire un mondo che per ragioni personali, mi era totalmente ignoto. Tra queste voglio certamente annoverare Susanna Owusu Twumwah in arte Akosua O. T autrice del blog Into Akosua’s World, italo-ghanese di venticinque anni, impegnata nel settore della cooperazione internazionale. Lei è una vera forza della natura: con quel marcato accento romano, la parlata energica e il sorriso contagioso Susanna esprime una forza e un ardore che sembra mettere in tutto quello che fa. Così, una mattina, decidiamo di incontrarci in un anonimo bar di Torpignattara per parlare di capelli.

Com’è iniziato il percorso che ti ha portato a tornare ai tuoi capelli naturali? Quando ero in Ghana, nel 2015, avevo i capelli in transizione, cioè avevo smesso di farmi il tiraggio e avevo metà capelli lisci e metà capelli ricci.

Tipico… E ero abbattuta perché non sapevo se tagliarli o meno, li odiavo e non sapevo cosa fare, per cui decisi di fare delle trecce. Appena tornata in Italia, non riuscivo più a sopportare né di vederli così né di sentirli così perché mi facevano veramente male e quindi chiesi alla mia parrucchiera di tagliarmi tutte le punte. Quindi rimasi con 3cm di capelli su tutta la testa e quel giorno stesso decisi di rifarmi nuovamente le trecce perché non riuscivo ad abituarmi a quella mia nuova immagine. C’è voluto del tempo, ma poi mi sono abituata a vedermi con i capelli corti, ho passato un anno a conoscere i miei ricci, senza indossare parrucche e per adesso sto bene così ma questo non esclude che io possa tornare ad indossare protective hairstyles.

Qual è invece il tuo primo ricordo legato ai capelli? Ricordo di mia mamma che quando andavo all’asilo, tutte le mattine mi acconciava i capelli mi metteva delle perline e mi ricordo che tutti i bambini erano contenti di vedermi con questi ciuccetti, anche le maestre erano affascinate dal fatto che mia madre si impegnasse tutti i giorni per farmi essere così bella.

Ti è mai capitato di subire una delle più classiche micro-aggressioni: le mani nei capelli… A scuola ci provavano ma siccome sono una persona che non ama il contatto fisico non tentavano neanche di toccarmi i capelli perché io li bloccavo subito! Invece, quando sono andata all’università mi è capitato qualche episodio spiacevole. Durante il primo anno, infatti, i miei compagni mi avevano visto solo con le trecce, crochet braids e poi ad un certo punto ho iniziato a portare i miei capelli naturali e mi ricordo che una mia compagna a lezione mi mise una mano in mezzo in testa dicendo: «oddio che fighi, che morbidi!» e io mi girai scocciata. Ho notato però che in generale ora che ho i capelli corti la gente non me li tocca più, quando fino ad un anno fa mi facevo i twist le persone erano molto curiose ma quelli che mi conoscono mi hanno sempre chiesto il permesso e io rispondevo: «se devi proprio, se vuoi sentire questa grande sensazione!». In generale io la vivo male solo quando non mi chiedono il permesso, posso capire che una persona bianca (n.d.r.) possa essere curiosa anche di avvicinarsi ad un mondo diverso, però ci vuole sempre rispetto della persona.

https://www.ssunday.co/the-hair-appointment

Secondo te a che punto è il dibattito sui capelli afro in Italia? Secondo me il dibattito è arrivato ad un buon punto di maturazione ma solo all’interno della comunità nera. Mi è capitato spesso di parlare con italiani non neri di cura del capello afro e mi sono dovuta scontrare con una certa ignoranza. Però in generale, la comunità black italiana mi sembra che stia riscoprendo la fierezza del capello afro! Sento che molti di noi si stanno riavvicinando alle nostre radici, sono curiosi. E poi questo sta portando ad un output positivo: perché stanno nascendo delle aziende, delle nuove figure professionali.

Si sta parlando di imprenditorialità nera! In Italia stanno nascendo tante realtà e anche solo parlarne fa bene alla causa. È un passaggio di conoscenza. Al momento però il tutto si sta gestendo per la maggior parte con scambi informali e la rete in questo senso sta aiutando tantissimo. È interessante notare che all’interno della comunità nera alcuni di noi stanno acquisendo le competenze per poter parlare di capelli afro. Ma aiutandoci tra di noi sono sicura che nei prossimi anni il fenomeno crescerà.

I protective hairstyles stanno piano piano diventando una moda, di cui però si stanno appropriando anche i non afro-discendenti. Come lo interpreti questo trend? È appropriazione culturale? Le persone non nere che ho conosciuto che si fanno acconciature prettamente afro non hanno mai voluto fare le trecce per appropriarsi della cultura nera. Loro lo vedono come un semplice cambio di acconciatura. C’è però sempre una minoranza che sembra che voglia essere qualcosa che non è. Mi è capitato di confrontarmi con persone non nere che una volta fatte le trecce dicevano: «adesso sono nera anche io!». Ma queste persone non capisco che il loro è solo un cambio di acconciatura e non di identità.

Io spesso mi sento offesa quando una donna bianca si fa le trecce perché sento che si sta appropriando di qualcosa di nostro, quasi per gioco, senza capire che dietro la cultura delle trecce c’è tutta una sovrastruttura che molto spesso viene dimenticata, anche da noi…Ti rigiro la questione: le nere fanno il contrario si appropriano di un’immagine non loro e poi criticano le bianche se si fanno le trecce. L’uso di parrucche, waves è figlio dello stesso meccanismo, solo che le nere la vedono come una necessità, un protective hairstyle

Ti ri-rigiro la questione. Io per tanti anni mi sono fatta il tiraggio perché per tutta la mia vita ho sognato di avere i capelli lisci e probabilmente questa cosa mi serviva anche per sentirmi più accettata. All’epoca non avevo coscienza di me come adesso. Ecco se io penso alle nere che indossano le parrucche e le waves penso che dietro a questa scelta c’è spesso una necessità di sentirsi apprezzate e di aderire, anche per sopravvivenza, a dei canoni estetici ancora vigenti. Ecco il privilegio bianco sta proprio lì…

Ovviamente per me la donna nera che decide di mettersi le extensions non è paragonabile alla bianca che si fa le treccine. Spesso le nere criticano le bianche senza accorgersi che anche noi abbiamo un problema identitario alla base. Finché non ti accetti non puoi puntare il dito contro gli altri. Io non penso di avere un problema identitario con i miei capelli perché ho compiuto tutto un processo di accettazione e so che se domani mi mettessi le extensions lo farei per cambiare stile e non per essere un’altra persona non per essere più accettata, anche perché, in tutta sincera verità, probabilmente in certi contesti non sarei comunque accettata. Quello che voglio dire è che non siamo costrette ad avere i capelli naturali 365 giorni all’anno, non è quello il punto. Si tratta di capire cosa sono i nostri capelli naturali, accettarli, capire che posso essere bella anche così e se poi per un giorno o una sera mi va di cambiare lo posso fare.

Dunque tu non vedi nelle extensions, le weaves e le parrucche una forma di sottocultura black? No, per me non fanno parte della nostra identità ma sono cose che sono venute a far parte della nostra cultura per quello che è accaduto a livello storico. È interessante notare che anche in Ghana – il mio paese di origine – si sta notando un ritorno sempre più frequente ai capelli naturali, i media magari non ne parlano, però è una realtà anche questa.

Tu molto spesso sei chiamata a rappresentare la comunità nera in Italia ad eventi pubblici, ti sei mai posta il problema della credibilità legata ai tuoi capelli? Tante volte quando sono stata chiamata a delle conferenze per parlare di capelli e identità mi sono chiesta se presentarmi con una parrucca fosse una scelta efficace. È molto importante rappresentare, anche visivamente, ciò che si è. È giusto ammettere che è un privilegio non dover pensare alla propria credibilità quando si parla di capelli, però noi, come comunità nera, dobbiamo lavorare per farci ascoltare nonostante quello che abbiamo in testa. Insomma, voglio splendere, voglio che tutta la comunità nera splenda senza doversi giustificare e senza vittimismo.

Però non possiamo farlo da soli, c’è bisogno di alleati dall’altra parte… È però importante sottolineare che molti afro-discendenti si sottovalutano e spesso non comunicano effettivamente il loro messaggio. Insomma, gli alleati siamo noi! Noi dobbiamo normalizzare la nostra identità, dobbiamo farla entrare in certi spazi e così le persone non ci incasellano come “un fatto etnico”. Cioè, al di là dei capelli, quando io per il mio lavoro vado in determinati ambienti molto formali cerco sempre di indossare un elemento afro e non per farmi fare i complimenti ma per normalizzare quello che rappresento.

Dunque, tu che hai una forte identità e una grande convinzione hai accumulato un capitale che stai spendendo per altri, per aprire delle strade. Il mio più grande desiderio sarebbe quello di infondere un alto grado di consapevolezza ad altri e questa cosa può passare anche attraverso i capelli. Ma l’accettazione del proprio sé però non passa solamente attraverso l’aspetto più tangibile, ossia portare i capelli naturali, c’è bisogno anche di nutrire il proprio intelletto. Avere coscienza delle tradizioni, della storia, leggere testi scritti da persone nere, è un processo necessario che accompagna il nostro percorso di crescita. I capelli sono una forma di empowerment che rende esplicita la nostra interiorità.

Io spesso ho l’impressione che il dibattito italiano sui capelli afro sia molto, troppo, appiattito sul contesto americano. Spesso ci lamentiamo di problemi che forse da noi non esistono… Noi in Italia guardiamo troppo spesso al contesto americano. Cioè da noi la comunità nera non viene discriminata per i capelli, la situazione è tale che forse i capelli sono una delle ultime cose per cui veniamo emarginati. Io penso che la comunità nera italiana, attualmente, stia facendo dei discorsi anche diversi a quelli che appartenevano alle prime generazioni, anche dal punto di vista culturale. Con varie realtà stiamo pensando di coniugare varie istanze presenti nella comunità nera e creare eventi che non solo si occupino di politica ma che forniscano anche occasioni di svago su tematiche meno impegnate.

I capelli, i nostri capelli, possono assumere una valenza politico-ideologica? Assolutamente! È una dichiarazione politica portare i capelli naturali, stai dichiarando una tua volontà.

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