Arresti ingiustificati, maltrattamenti in luoghi pubblici, licenziamenti forzati, sfratti improvvisi, isolamento, obbligo di sottoporsi a più test di tamponi. Sulle vetrine di ristoranti, negozi ed edifici sono affissi cartelli che vietano esplicitamente l’ingresso alle persone nere per salvaguardare la salute pubblica; numerose sono le testimonianze di chi è stato cacciato da università, da hotel e dalle proprie abitazioni e adesso vive per strada. Le forze dell’ordine stanno facendo irruzioni negli appartamenti costringendo all’isolamento di 14 giorni (in alcuni casi a pagamento in strutture predisposte dal governo), nonostante molti sostengano di non avere precedenti di viaggio all’estero o contatti noti con i pazienti Covid-19.

Queste sono le discriminazioni che da una settimana le persone africane subiscono in Cina, in particolare nella provincia sud-orientale di Canton, dove si registra la concentrazione più alta di popolazione africana.  

Un video di africani a San Yuan Li, a Canton, girato il 9 aprile 2020. Fonte CNN

La miccia che ha fatto esplodere tali abusi è il timore di una seconda ondata del coronavirus, Sars-cov-2, a seguito di un aumento delle infezioni che il governo ha collegato agli stranieri, proprio nel momento in cui la Cina tenta la ripresa economica. Settimana scorsa infatti, il presidente cinese Xi Jinping ha esortato le autorità a controllare attentamente i casi importati da altri paesi – secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Xinhua – ma ad essere presi di mira sono soprattutto immigrati afroamericani e di origini africane.

Un immigrato africano a Canton viene testato per il coronavirus nel suo appartamento.

Non si sono fatte attendere le reazioni degli esponenti politici di alcuni paesi africani: dal Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione africana, a Shirley Ayorkor Botchwey, ministro ghanese degli Esteri e dell’integrazione regionale, Femi Gbajabiamila, portavoce della Camera dei rappresentanti della Nigeria e Geoffrey Onyeama, ministro degli Esteri nigeriano, che hanno convocato gli ambasciatori cinesi nei rispettivi paesi esprimendo rammarico per i recenti fatti.

Shirley Ayorkor Botchwey, ministro degli affari esteri e dell’integrazione regionale, in una dichiarazione copiata dall’agenzia di stampa del Ghana, ha dichiarato che verrà emessa una comunicazione formale da parte del governo per affrontare la situazione.

Tutti hanno condannato pubblicamente la discriminazione e la stigmatizzazione verso i propri cittadini, chiedendo una celere applicazione di misure correttive da parte del governo cinese, per salvaguardare i rapporti con Beijing. 

Il presidente del Forum minerario del Sudafrica Blessings Ramoba in un tweet azzarda l’annullamento del debito sudafricano come soluzione alle perdite economiche causate dal coronavirus e ai danni morali inflitti ai sudafricani in Cina.

Le risposte dalla Cina sono però contrastanti: da una parte il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian afferma che “il governo cinese tratta equamente tutti gli stranieri in Cina, si oppone a qualsiasi pratica differenziata mirata a gruppi specifici di persone e ha tolleranza zero per le parole e le azioni discriminatorie”. Dall’altra invece, le autorità locali agiscono autonomamente continuando i maltrattamenti verso le persone nere.

Per fortuna si vedono anche gesti solidali dalla popolazione come i volontari che in questo video donano cibo e bevande ad alcuni immigrati africani senza tetto.

La reazione della Cina è paradossale se si pensa che fino a poche settimane fa era il suo popolo ad essere capro espiatorio, subendo attacchi razzisti in diverse parti del mondo, com’è successo in Italia.

Inoltre la Cina ha importanti rapporti commerciali con decine di paesi africani, negli ultimi vent’anni si è infatti spesso parlato di colonizzazione cinese dell’Africa e di come sia riuscita a sostituirsi ai tradizionali alleati del continente. Gli investimenti cinesi negli stati africani sono caratterizzati dalla cosiddetta “trappola del debito”: si concedono prestiti colossali per lo sviluppo di impianti, reti e servizi utilizzando tecnici e funzionari cinesi, se il debito non viene saldato il controllo di quelle infrastrutture passa alla Cina. 

La presenza cinese in Africa non si limita al settore economico, ha penetrato anche la sfera sociale e intellettuale. Dalle strutture per le telecomunicazioni, come in Uganda, dove l’estensione della tv digitale a molti villaggi è gestita da società provenienti dalla Cina; agli edifici scolastici, nei quali è sempre più diffuso l’obbligo dello studio della lingua cinese.

Fonti: CNN, newsghana.com

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