Periodicamente nei talk show di attualità è trattato il tema dell’immigrazione: in un primo momento pareva si volesse affrontare la questione tutti insieme, dialogando, con la partecipazione di alcuni esponenti politici. Di recente però, guardando queste trasmissioni, si nota un vero e proprio schieramento: da una parte gli “italiani”, dall’altra profughi, rom, stranieri naturalizzati italiani con una carriera accademica e professionale brillante alle spalle ed infine, i figli di immigrati. Ecco che già si crea una separazione tra due fazioni che invece dovrebbero cercare l’incontro, l’unità.

I vari invitati raccontano le loro storie, quindi inizia il dibattito, spesso caotico, dai toni forti, nel quale per un paio d’ore due gruppi di persone si urlano addosso pensando che, così facendo, possano convincere il pubblico e “l’avversario” che il loro disagio è più legittimo di quello altrui. Ora, è comprensibile che ciò si verifichi discutendo argomenti personali e spiacevoli, ma perché mostrarlo, o meglio, provocarlo in TV, quando è possibile assistere a scene simili nel nostro quotidiano? Altre volte poi le frustrazioni, anche se  non vengono esternate, si leggono negli sguardi e nei gesti del vicino, ma non per questo fanno meno male.

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Protesta di alcuni cittadini di Chieti Fonte: chietitoday.it

Nel Deuteronomio, Antico Testamento, si legge: “Amate lo straniero, perché anche voi foste stranieri nella terra d’Egitto”. L’Italia è fondata su una cultura cristiana classica, e soprattutto, ha alle spalle secoli di storia di emigrazione, eppure oggi il suo popolo dimostra di non aver imparato ad amare lo straniero, sembra considerarlo addirittura un nemico, malgrado con esso sia costretto a convivere. Il termine straniero etimologicamente significa estraneo, deriva dal latino “extra” ossia “ciò che sta fuori” rispetto a ciò che sta dentro, casa propria.  Inevitabilmente all’estraneità fisica segue quella emotiva, per cui si tende ad allontanare chiunque non appartenga al nostro territorio in quanto rappresenta una minaccia al nostro benestare; il timore e la diffidenza aumentano quando l’altro differisce da noi per sembianze, background culturale, mentalità… Nel caso in cui l’uomo debba far fronte a flussi migratori importanti come quelli a cui stiamo assistendo in Italia, scattano mille campanelli d’allarme che provocano un atteggiamento di difesa e di sfida verso chi mette in pericolo la sua casa e le sue certezze.

I servizi giornalistici montati ad hoc per enfatizzare l’esasperazione della gente “abbandonata a se stessa dalle istituzioni”, la diffusione di notizie non accertate su presunti reati, più e meno gravi, commessi da stranieri, alimentano il senso di solidarietà e di unione fra persone che condividono tutto rispetto a chi con loro non ha niente in comune. Tutti uniti contro il nemico. In questo caso perciò è scorretto parlare di razzismo. La riluttanza della stragrande maggioranza del popolo italiano non è dovuta alla razza degli “estranei”, ma all’arrivo massiccio e continuo di questi ultimi, che porta ad un incremento delle incertezze in un contesto dove già regnano scontentezza e disperazione a causa della crisi finanziaria. Ecco che gli immigrati diventano il più semplice capro espiatorio su cui sfogare la rabbia repressa, grida che in realtà sono rivolte a qualcun altro, qualcuno che forse non ha una soluzione al problema. Resta comunque scioccante la totale mancanza di umanità nei confronti di persone che hanno visto la morte in faccia, fuggite da una situazione di morte certa, con in tasca solo la speranza di regalare un futuro migliore alle loro famiglie.

Protesta di profughi a Treviso.  Fonte: Il corriere del Veneto.

Un’ultima riflessione riguarda la grande confusione su chi siano gli italiani di seconda e terza generazione: prima vengono posti sullo stesso piano dei clandestini e degli immigrati che li hanno messi al mondo e per questo, colpevoli allo stesso modo di aver mandato in rovina il Bel Paese; ma poi vengono definiti diversi da quegli stessi immigrati che girovagano per le strade a commettere atti criminali,<<perché sono integrati, lo si capisce dal vestiario, da come parlano…>>.  Ad ogni modo, mai si considera l’ipotesi che siano italiani. Vediamo allora afroitaliani/italoalbanesi/italomarocchini rivendicare la loro italianità, ma al contempo difendere i “compagni di squadra”, un team in cui sono stati messi e al quale si sentono comunque di appartenere, perché tutta la vita sono stati considerati e trattati come estranei al e dal popolo italiano, perchè hanno l’opportunità di dar voce a chi spesso non è in grado di farsi rispettare o capire, a causa delle barriere linguistiche. Ancora oggi: italiani, ma stranieri. Fino a quando ?

In conclusione, è lecito domandarsi quale sia la funzionalità di questi format. Se le discussioni non terminano con un accordo, con un impegno reciproco a fare un passo indietro per ascoltare e comprendere la posizione dell’altro, se si esce dallo studio televisivo ancora più adirati di quanto lo si fosse prima di entrarvi,  se l’unica soluzione sembra quella di farsi giustizia da soli senza guardare in faccia a nessuno, che senso hanno?

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