LA TRAMA

La nuova serie statunitense #blackAF è una di quelle produzioni cinematografiche di nicchia, dal messaggio sottile e potente, che solo quelli che conoscono la realtà degli Stati Uniti possono comprendere e permettersi di dare un giudizio completo. Una serie che fa tanto ridere quanto riflettere.

Disponibile su Netflix, la serie è diretta da Kenya Barris, con la partecipazione di Rashida Jones (figlia del cantante Quincy Jones) in veste di produttrice esecutiva e attrice. La trama è tipica di una sitcom americana vista e rivista, incentrata sulla vita di una famiglia e di tutte le loro avventure. Con una sola stagione, #blackAF ha aperto diversi dibattiti riguardo alla scelta del cast, del titolo, e della sceneggiatura.

IL DIETRO LE QUINTE.

La produzione della serie è stata una richiesta fatta da Netflix a Kenya Barris, noto sceneggiatore e produttore cinematografico afro-americano attivo dai primi anni Duemila. Barris è conosciuto a Hollywood attraverso i suoi lavori per America’s Next Top Model con Tyra Banks, Girls Trip (Il viaggio delle ragazze in Italiano) con Jada Pinkett Smith (moglie di Will Smith e presentatrice della show su Facebook Red Table Talk), Regina Hall (Scary Movie), Queen Latifah (Hairspray) e Tiffany Haddish (Tuca & Bertie). Nel corso degli anni Barris si è fatto un nome nel mondo dello spettacolo per la trilogia di Blackish (2014), on i suoi spin-off e prequel, rispettivamente Grownish (2018) e Mixedish (2019).

Basate sulla sua vita personale e famiglia reale, Barris cerca sempre di rappresentare l’esperienza afro-americana sul grande schermo, con tematiche pungenti e battute irrIverenti per un pubblico eterogeneo come quello statunitense. Le pellicole e i reality show di Barris hanno spesso come protagonisti personaggi dello spettacolo afro-americani, includendo artisti grafici, musicali e attivisti sociali.

Pur notando questi elementi, le dinamiche descritte da Barris, spesso non rispecchiano la realtà vera e propria di un Paese tanto affascinante quanto complicato come gli Stati Uniti d’America.

IL DISCORSO DELLA RAZZA.

La razza è un concetto antropologico e sociale molto discusso negli Stati Uniti. Non è una novità sapere che chi ha meno melanina sulla pelle si ritrova spesso con più agevolazioni finanziare e sociali. Tendenze sessiste, misogine, estremiste, razziste hanno raggiunto ogni parte del globo, ma l’atteggiamento statunitense è uno dei più esemplari che vale la pena analizzare.

In un Paese dove formalmente la schiavitù mentale, spinta da un capitalismo sfrenato, ha preso il posto di una schiavitù di tipo fisico, la libertà si prefigge come un miraggio, da esercitare a tutti i costi. Ci sono persone che lottano giorno dopo giorno per ottenere un sistema giudiziario più efficiente, un sistema sanitario più accessibile, il tutto per raggiungere il cosiddetto “sogno americano”. Purtroppo però le difficoltà che le maggioranze storicamente più potenti (i bianchi e i loro simili europei) perpetuano nel sistema vanno a discapito delle minoranze (afro-americani, ispanici, asiatici), rendendole sempre più sensibili e soggette a traumi generazionali. Per questo motivo si lotta, con le parole, con le proteste, e con la comunicazione di massa.

Il mondo dell’intrattenimento, un’industria flessibile, veloce e sfrenata, ha un legame stretto con la politica e si prefigge spesso di portare sullo schermo messaggi sociali. Non si tratta di propaganda aggressiva o subdola, ma più che altro di una piattaforma educativa da dove gli spettatori possono attingere informazioni più o meno consolidate nell’immaginario collettivo. E chi porta sul tavolo le idee più innovative, porta su quello stesso tavolo più capitale. Un capitalismo che non guarda in faccia a nessuno, l’unica realtà vera e propria e da sempre presente in diverse dosi nel corso della storia degli Stati Uniti. Per questo motivo, il lavoro di #blackAF di Kenya Barris ha riscosso critiche sia positive che negative.

COSA HA SCATENATO LE POLEMICHE?

Il titolo è un palese richiamo al cultura dei social, con l’uso dell’hashtag e del termine “AF”, che sta per “as fuck” (una traduzione italiana appropriata potrebbe essere “a bestia”, “un botto”, “a bomba”). “Black AF” implica la presenza di una famiglia nera, ma nella serie ci sono elementi e personaggi che non fanno parte della cultura vera e propria afro-americana, o almeno quella che non sia presente solo nella scintillante Hollywood o la frenetica New York.

In #BlackAF la trama è raccontata tramite gli occhi della figlia di Barris (il quale interpreta il padre della famiglia), che sta girando un documentario per la sua ammissione al college. Nel primo episodio, la ragazza introduce ogni membro della famiglia, la sua casa e il tipo di status in cui vive. Ciò che ho apprezzato in questo episodio è stato l’intervallo storico con il quale viene spiegato l’importanza dello swag, dell’aspetto e della moda urbana nella comunità afroamericana.

Molte sono le volte in cui Barris menziona che tutte le questioni relative al popolo nero sono riconducibili alla schiavitù, comprese le origini dei migliori Sunday Bests, seguiti dai vestiti e accessori scintillanti e vistosi che sono arrivati ​​in seguito con hip hop, movimenti sociali e correnti letterarie. Tutte queste sono realtà di cui in Europa spesso non si studiano le origini, ma sono argomenti interessanti da seguire e scoprire per comprendere il panorama attuale del mondo.

La famiglia ritratta in questa serie ha un madre (interpretata da Rashida Jones) che è sia bianca che nera, un padre afroamericano (Barris stesso), i bambini alla moda e in forma, che vivono comodamente nella soleggiata California e fanno parte della classe medio-alta. Alcuni potrebbero sostenere che, poiché Barris prende in considerazione la propria famiglia e la propria vita come ispirazione per i suoi spettacoli, in realtà questa non sia una rappresentazione veritiera di una famiglia nera negli Stati Uniti. Infatti, la famiglia di #blackAF fa parte di quella élite raffinata e ben circoscritta, formatasi da poco, dopo serie di lotte contro ingiustizie e soprusi politici contro una delle minoranze più martoriate nella storia, come gli afroamericani.

Gli ultimi tre episodi si concentrano principalmente su problemi di coppia. Ho trovato questa parte interessante e piuttosto realistica anche se ovviamente non può essere un’esperienza universale perché ogni relazione romantica è unica nel suo genere.

Il colorismo è una questione molto seria che gli Stati Uniti si portano dietro dagli inizi del ‘900 con il “Brown paper bag test”, una pratica che stabiliva che tutte le persone con la pelle più scura della classica busta di carta marrone, non potevano godere di determinati privilegi. Ancora oggi le persone nere con la carnagione chiara sono molto più avvantaggiate a livello sociale e in particolare nel mondo del lavoro.

Il colorismo si manifesta soprattutto nel mondo dello spettacolo. La scena musicale ha infatti sempre dato più risalto a cantanti come Beyoncé e Mariah Carey, piuttosto che a Kelly Rowland e Foxy Brown. Nel cinema e nella tv, una Halle Berry è sempre stata più gettonata rispetto a Viola Davis. Ecco perché super modelle come Tyra Banks, Beverly Johnson e Naomi Sims hanno segnato una svolta nel mondo della moda e dell’intrattenimento, fornendo una rappresentazione più veritiera della società americana.

Per questi motivi una larga fetta della popolazione nera americana non ha visto di buon occhio la selezione di una cast prevalentemente light skin in una sitcom intitolata “BlackAF”, è mancata la tanto auspicata rappresentazione reale e completa del popolo nero americano.

Ma quindi chi sono i neri americani?

In una società cosi mista come quella statunitense, è quasi difficile individuare i veri afro-americani, perché molti di loro sono di origine ispanica, sudamericana e caraibica. Le combinazioni di persone nere e bianche si presentano in una miriade di sfaccettature. Secondo un articolo di National Geographic accompagnato da un servizio fotografico di Martin Schoeller, gli Americani nel 2050 saranno per la maggior parte dei casi multi-razziali, con più caratteristiche morfologiche miste sui loro volti e corpi. 

Spesso non siamo abituati nelle scuole italiane a leggere di persone nere che sfondano nel mondo dello spettacolo, a meno che non siano americane. Ma poi, chi è considerato nero negli Stati Uniti e quali sono le ingiustizie che devono affrontare? Quali sono le pratiche da seguire e raggiungere per ottenere quella rappresentazione che sembra essere stata raggiunta, ma che mai riesce a soddisfare tutti, non solo americani, ma ogni persona nera al mondo? Letture e riflessioni sono azioni imperative e guardare #blackAF può essere un punto di partenza.

Giulia

Sono Giulia e sono una giornalista di moda e d’intrattenimento. Nata e cresciuta a Firenze, vivo negli Stati Uniti dal 2016. Ho conseguito una laurea in Comunicazione (Journalism), con una doppia specializzazione in Scrittura Creativa ed Educazione Civica presso la Hofstra University (NY). Fra un articolo e un altro, coltivo la mia passione per la poesia, la musica, il nuoto e il cinema.

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