Poll effettuato da SWG su un campione di 1500 persone e pubblicato su The Guardian.

Da quando sono in Olanda molti miei compagni di corso -internazionali e non- mi hanno chiesto che cosa significa vivere in un paese che non ti rispetta in base alla persona che sei ma in base alla tua provenienza. Spesso non so come rispondere. Non so come trascrivere a parole le esperienze che ho passato, le cose che ho visto e che ho sentito dire sia a me che alla mia famiglia e ai miei amici.
Dico semplicemente <<it’s tough>>. È dura. Stremante. Solo una volta aver lasciato casa mi sono resa conto che per tutti questi anni non ho affrontato il razzismo in modo corretto e che avrei dovuto ascoltare i miei genitori un po’ di più. Mi sono sempre fatta convincere che non rispondere fosse la cosa migliore: <<lasciali parlare Naomi, si stancheranno>>.

Ma non si sono mai stancati. Da pochi anni ho iniziato a rispondere e a reagire ad episodi di razzismo, a capire che non posso lamentarmi se poi in realtà non faccio niente per fermare la cosa. Mio papà mi ha sempre ricordato che avere la pelle scura e l’afro oltre ad essere un dono, porta grandi responsabilità:

<<Naomina non nascondere la tua identità per fare un piacere a loro, tira fuori le unghie non abbassare mai la testa>>.

Nelson Mandela

Avrei voluto comprendere il vero significato di quelle parole un po’ prima. Mi sarebbe piaciuto non avere paura di reagire e di farmi valere, ma ero sola. Sola perché non avevo nessuna figura a cui guardare per sentirmi forte. Non c’erano youtuber, influencer e attivisti a cui potevo ispirarmi. Avevo solo me e le storie di Sankara e Mandela che mio papà mi raccontava per darmi forza. Ma non era abbastanza. Sankara e Mandela non erano lì fisicamente con me a scuola, per strada o nei negozi. Nonostante mi ripetessi in testa le loro frasi per farmi forza mi sentivo comunque impotente.

Questo è cambiato crescendo e trovando persone che mi difendevano, mi appoggiavano ma soprattutto credevano. Grazie a queste persone ho trovato il coraggio di rispondere, di farmi valere e di non ignorare il problema. Per questo motivo, ho iniziato a esprimere più spesso la mia opinione con le persone ma anche sui social riguardo al tema, senza filtri, senza sugar- coating.

The Guardian

La situazione è peggiorata ed è anche colpa di noi ragazzi di seconda generazione che per molto tempo siamo stati zitti, ci siamo fatti imbambolare credendo che stando muti le cose sarebbero cambiate. Cambiate dove? Il razzismo in Italia è peggiorato. Ogni giorno si verificano episodi di discriminazione e di crimini di odio.

Nel 2010 è stato creato l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), un’agenzia del ministero dell’interno che raccoglie le segnalazioni alla polizia di crimini di odio. Nel 2017 quelli registrati sono stati 1.048, rispetto ai 736 del 2016. I dati delle discriminazioni li raccoglie anche l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) e dagli ultimi risultati è emerso che tra tutte le discriminazioni, quelle per motivi etnico-razziali hanno la percentuale più alta, rappresentando l’82 per cento delle segnalazioni nel 2017. Fa quasi ridere vero? Un paese democratico che nonostante dati, testimonianze, report ha ancora il coraggio di rimanere passivo davanti a tutto ciò; come se due righe in un articolo di giornale riguardo al problema fossero abbastanza. Io non ci sto. Sono delusa ma non arresa.

Da quando ho deciso di far sentire la mi voce le persone mi hanno ringraziato, dicendomi che ho dato il coraggio a loro di parlarne e di esporre il problema il più possibile. Di certo non cambierò il paese dall’oggi al domani, ma posso cambiare una persona e ciò mi basta, perché quella persona ne cambierà un’altra a sua volta. Bisogna discutere, alzare la voce, gridare se è necessario in modo da farsi ascoltare. Mi sono stufata di ricevere compassione e pena da parte delle persone, non mi serve. Io voglio rispetto, lo pretendo per me e per tutti noi italiani il quale unico “torto” è avere genitori stranieri. Non voglio sentirmi dire di lasciare stare, come se la mia persona e i miei diritti valessero di meno. Un paese che accantona i problemi e le responsabilità è un paese passivo che non arriverà mai al progresso.

Naomi Di Meo – collaboratrice esterna-

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